Karate: brevi cenni
Arte marziale che prevede l’uso degli arti superiori e inferiori senza l’ausilio di armi o di attrezzi. Escludendo le competizioni a livello agonistico, lo scopo del karate non è la vittoria nel combattimento, ma il raggiungimento del perfezionamento sia della tecnica esecutiva sia di un equilibrio interiore della persona. Per questo, al fine di un continuo miglioramento delle proprie capacità, viene data grande importanza all’apprendimento di un’armonia del corpo nelle forme, statiche e dinamiche, della concentrazione, potenza e velocità di esecuzione, e soprattutto dell’autocontrollo.
Il senso profondo dell’arte marziale del KARATE è contenuto nei due ideogrammi che compongono il nome: kara, che significa “vuoto”; te, che vuoi dire “mano”. Si tratta infatti di una tecnica difensiva senza armi, che presuppone anche un atteggiamento di vuoto mentale (mu) da parte di chi lo pratica, per superare ogni paura di fronte all’avversario e per meglio realizzare una perfetta unione dei corpo con lo spirito. Vari sistemi di difesa e di lotta a mani nude, praticate per secoli in tutto l’Estremo Oriente, hanno contribuito alla nascita del karate come arte marziale e, molto più tardi, come sport dotato di un preciso regolamento. Si può comunque individuare nell’isola di Okinawa la culla del karate. Qui infatti, durante i secoli XV, XVI e XVII, le dominazioni cinesi e giapponesi, per evitare insurrezioni popolari, vietarono l’uso delle armi. Fra la gente si diffusero allora tecniche di autodifesa e di combattimento (sia forme di lotta sia le “arti” del pugno), che portarono alla creazione del to de, il più immediato antecedente del karate. Grazie al maestro Gichin Funakoshi, il to de fu introdotto in Giappone (1922), dove incontrò presto vasti favori e il suo nome fu mutato in quello attuale di “karate”.
Esistono vari stili di karate; i più conosciuti sono, oltre allo shotokan, il wado-ryu, il gojo-ryu, il shito-ryu. Nel 1949 venne fondata dal maestro Funakoshi la Japan Karate Association, a cui si deve l’organizzazione del primo campionato giapponese nel 1957. A partire dagli anni cinquanta, il karate iniziò a diffondersi anche al di fuori del Giappone, e nel 1970 si svolse il primo campionato mondiale.
Il karateka dovrà sottoporsi quindi a prolungati allenamenti per irrobustire le estremità degli arti, inoltre dovrà conoscere perfettamente i punti del corpo nei quali i colpi risultano più efficaci (come si è detto, nella pratica sportiva questi colpi devono però arrestarsi a pochi millimetri dall’obiettivo).
L’Arte della Mano Vuota
Karate, o Karate-do (l’arte di per sé), come lo conosciamo oggi, è un prodotto di sintesi tra l’antica arte Te del diciottesimo secolo, originaria di Okinawa, le antiche arti cinesi nate nel Tempio di Shaolin, ed altri stili praticati nel sud della Cina nella provincia del Fukien. Negli ultimi 70 anni, le Arti marziali giapponesi hanno molto influenzato il Karate come viene praticato in Giappone e poca di tale influenza è rientrata verso l’origine e cioè Okinawa.
Te è un’arte nata almeno 1000 fa. Gli abitanti di Okinawa di quel periodo non erano ricchi e vi erano poche armi disponibili. I territori non erano unificati e la coscienza di una forma di autodifesa si fece strada in modo prepotente e sarebbe stata poi la progenitrice di una forma di difesa personale indigena.
Più tardi, tra quindicesimo e sedicesimo secolo, quando gli isolani iniziarono a viaggiare molto per il commercio, sicuramente incontrarono altri sistemi di combattimento nel Sud dell’Asia che avrebbero influenzato la loro arte locale. Alcune tecniche nel karate di oggi sembrano appartenere a quella zona del mondo dove sono nate arti antichissime per il combattimento. Tuttavia lo stile di Okinawa è unico e tutto ciò che provenisse da altre parti del mondo è stato sempre ritrasformato in modo da amalgamarsi ai principi di combattimento di Okinawa. Tra questi l’uso della mano (te) e del pugno.
Gichin Funakoshi
Gichin Funakoshi nasce a Shuri, Okinawa, nel 1868, primo anno dell’era Meiji (1868 – periodo in cui il Giappone passa dal feudalesimo all’era moderna). Appartenente a una famiglia di funzionari molto legata alla tradizione, G. Funakoshi vuole studiare medicina, ma viene scartata a causa di una regola che andava contro la tradizione di famiglia.
Di salute cagionevole e di costituzione fragile viene portato dai genitori dal Maestro Itosu perché lo introducesse allo studio del Karate. Grazie alle cure del proprio medico e al buon addestramento impartito dal Maestro, Funakoshi migliora ben presto il suo stato di salute.A 12 anni Funakoshi passa sotto il Maestro Asato… ecco quello che scrive:
“In quell’epoca mi sono allenato a un solo kata per molti mesi, e perfino per molti anni. Dovevo continuare, senza sapere per quanto tempo, fino a che il mio maestro dicesse “sì”. E il maestro non diceva mai “sì”. Per questo la durezza dell’allenamento è difficile da descrivere. Il Maestro Asato non mi toglieva mai gli occhi di dosso per tutto il tempo degli allenamenti nel suo giardino. Egli rimaneva nella veranda, seduto ben diritto sui talloni, senza cuscino. Era tuttavia già molto anziano… Quando terminava un kata, mi diceva solo “bene”, “sì”, o “ancora”, senza mai un complimento. Dovevo solo continuare a ripetere senza fine la stessa cosa, inzuppato di sudo
re. A fianco del maestro seduto era sempre appoggiata una lampada a petrolio il cui chiarore pareva affievolirsi, e talvolta mi accadeva di non percepirla più a causa della fatica. L’allenamento proseguiva fino all’alba.”
Funakoshi ha come Maestro, all’inizio della sua carriera di insegnante, affiancato al Maestro Asato, anche Anko Itosu (amico intimo di Asato). Questo Maestro, a differenza di Asato, si interessa ai problemi dell’educazione nel sistema scolastico.
Con loro Funakoshi vede due facce del Karate: Asato “era come un guerriero” (grande di taglia, largo di spalle, con occhi penetranti) secondo cui “Bisogna considerare le mani e i piedi dell’avversario come
una spada” (non bisogna dunque lasciarsi mai toccare). Itosu invece non era alto e il suo corpo “era come una botte”: “Se l’attacco dell’avversario non è efficace, si può ignorarne volontariamente l’effetto lasciandosi toccare”, quindi “anche rafforzare il corpo contro i colpi è importante”.
Nel 1921 è incaricato di dirigere una dimostrazione di karate fatta dagli scolari in occasione della sosta del Principe imperiale, mentre nel 1922 presenta il Karate di Okinawa in un’Esposizione nazionale di educazione fisica a Kyoto.
Grazie a Jigoro Kano, che ricopriva importanti funzioni al ministero dell’Educazione, Funakoshi fa una presentazione a Tokyo (nel dojo di Kano) per poi rimanerci per diffondere l’arte del suo paese.
Per questo si ritrova senza lavoro, ma con la passione di far conoscere la Sua arte… Non avendo alcuna risorsa, Funakoshi deve lavorare come portinaio in un pensionato per gli studenti che provenivano da Okinawa: è alloggiato in una camera di 5 m2 e il suo lavoro principale consiste nella pulizia quotidiana della casa e del giardino, nella distribuzione della posta agli studenti e nel curare l’accoglienza ai visitatori.
Purtroppo il suo lavoro serve soltanto a coprire l’affitto; per provvedere alle sue necessità ottiene il permesso di utilizzare la sala conferenze per insegnare Karate.
All’inizio, ha solo pochissimi allievi, ma in capo a due o tre anni, il numero dei frequentanti cominciano ad aumentare: gruppi di studenti di molte università formano dei club di Karate.Nel 1935, il Maestro scrive la sua opera più importante: “Karate-do kyohan” (Testo di insegnamento del Karate-do) mentre poco dopo (nel 1938) viene costruito dai suoi allievi il primo dojo di karate che Funakoshi chiama “Shotokan” (La casa nel fruscio della pineta).
Quando Funakoshi scrive “I venti precetti della via del Karate” il Giappone è già in guerra con la Cina dal 1937.
Nel 1941 scoppia la guerra del Pacifico e quattro anni dopo il dojo Shotokan viene annientato sotto i bombardamenti americani.
Una volta terminata la guerra Funakoshi, a 77 anni, lascia Tokyo per raggiungere la moglie che si era rifugiata a Oita (nel sud del Giappone). Si ritrovano insieme dopo una lunga separazione e da soli vivono coltivando la verdura e raccogliendo molluschi e alghe in riva al mare. La vita non è facile, ma finalmente sono insieme.
Due anni dopo la moglie si ammala improvvisamente e muore poco tempo dopo. In quello stesso anno muore anche Yoshitaka, il figlio al quale aveva affidato lo Shotokan.
Funakoshi ha l’impressione di aver perso tutto nel conflitto… Gli allievi anziani e gli studenti però cominciano a ritornare e il Maestro, a 80 anni, ritorna a Tokyo.
I suoi allievi anziani delle diverse università cominciano a riformare la scuola Shotokan e nel 1949 si costituisce la Japan Karate Association (J.K.A) con a capo Gichin Funakoshi, all’età di 81 anni.
Il Maestro muore nel 1957, a 89 anni.
Karate Tradizionale
Nella seconda metà del XX secolo il karate ha conosciuto un momento di grande popolarità e diffusione, fattori che hanno però determinato una grande ramificazione di interpretazioni spesso distanti dall’arte marziale originale.
Al fine preservare le radici storiche e proseguire il cammino all’interno della via indicata dai maestri del passato il maestro Hidetaka Nishiyama ha ritenuto necessario distinguere il karate da lui praticato ridefinendolo con il nome di Karate Tradizionale e fondando l’International Traditional Karate Federation (ITKF).
Il Karate ITKF si rifà alla tradizione sia dal punto di vista filosofico/morale, sia per quanto riguarda la tecnica. A differenza del karate cosiddetto sportivo, infatti, il karate tradizionale si basa sul concetto di concetto di Todome e Finishing blow o “tecnica definitiva”, ovvero una singola tecnica che con l’uso del corpo e senza uso di armi od attrezzi, deve essere in grado di distruggere la capacità offensiva dell’avversario.
In Italia il karate tradizionale è rappresentato dalla Fikta e dal Maestro Hiroshi Shirai, 10° dan, uno dei maggiori esperti di karate-do al mondo.
Il Maestro Shirai è uno degli uomini che hanno reso possibile l’arrivo, la diffusione e la pratica del karate in Italia, Paese dove ha fondato l’ISI (Istituto Shotokan Italia), un ente morale preposto allo studio di questo stile.
Dojo Kun
Dōjō kun tradotto letteralmente significa le regole del luogo dove si segue la Via.
È sinonimo di ricerca del perfezionamento attraverso lo studio del karate e consta di cinque principi che determinano lo sviluppo fisico e spirituale del praticante. Il dōjō kun avvia all’esercitazione della giusta condotta da tenersi e crea il nesso tra lo studio filosofico dell’arte marziale e lo studio pratico della tecnica: le conoscenze della Via (dō) non devono restare dei principi vuoti ma piuttosto forgiare il comportamento, globalmente inteso, del praticante. Il dōjō kun è perno di un’esercitazione spirituale incentrata sullo studio dell’arte marziale (Budo), in grado di produrre progressi in ogni campo dell’azione umana, la sua comprensione ha importanza quanto l’affinamento delle tecniche: prima, dopo l’allenamento, durante la cerimonia del saluto, vengono pronunciate le regole del dōjō kun; l’allievo più anziano di grado enuncia le frasi, ripetute da tutti gli allievi nella posizione del saluto. L’origine del dōjō kun riporta agli albori dell’arte marziale, si dice che il primo dōjō kun sia stato codificato dal monaco buddhista Bodhidharma, nel monastero di Shaolin.
Nel karate fu stabilito dal maestro Sakugawa di Okinawa e giunge sino a noi, fondamento dello stile tradizionale.
Le cinque regole sono:
Cerca di perfezionare il carattere.
人格完成に努むること
hitotsu, jinkaku kansei ni tsutomuru koto.
Percorri la via della sincerità.
誠の道を守ること
hitotsu, makoto no michi wo mamoru koto.
Rafforza instancabilmente lo spirito.
努力の精神を養うこと
hitotsu, doryōku no seishin wo yashinau koto.
Osserva un comportamento impeccabile.
礼儀を重んずること
hitotsu, reigi wo omonzuru koto.
Astieniti dalla violenza e acquisisci l’autocontrollo.
血気の勇を戒むること
hitotsu, kekki no yū wo imashimuru koto.
Niju Kun (Le venti regole)
Niju kun è un termine proveniente dall’arte marziale di Okinawa che si traduce letteralmente come Le venti regole. Create da Gichin Funakoshi verso la fine del 1800, esprimono i venti principi (o precetti) ai quali tutti gli studenti di Karate Shotokan sono incoraggiati ad ispirarsi nella vita, a praticarli e ad insegnarli agli altri.
Mentre si crede che i precetti fossero scritti intorno al 1890, essi furono pubblicati per la prima volta nel 1938 nel libro The Twenty Guiding Principles of Karate nella forma che segue:
Il Karate comincia e finisce col saluto.
空手道は礼に始まり礼に終る事を忘るな
Karate-do wa rei ni hajimari rei ni owaru koto a wasaru na
Il Karate non è mai attaccare per primi.
空手に先手なし
Karate ni sente nashi
Il Karate è rettitudine, riconoscenza, perseguire la via della giustizia.
空手は義の補け
Karate wa, gi no taske
Il Karate è prima di tutto capire se stessi e poi gli altri.
先づ自己を知れ而して他を知れ
Mazu onore o shire, shikashite ta o shire
Nel Karate lo spirito viene prima; la tecnica è il fine ultimo.
技術より心術
Gijitsu yori shinjitsu
Il Karate è lealtà e spontaneità; sii sempre pronto a liberare la tua mente.
心は放たん事を要す
Kokoro wa hanatan koto o yosu
Il Karate insegna che le avversità ci colpiscono quando si rinuncia.
禍は懈怠に生ず
Wazawai wa ketai ni seizu
Il Karate non si vive solo nel dojo.
道場のみの空手と思ふな
Dojo nomino karate to omou na
Il Karate è per la vita.
空手の修業は一生である
Karate-do no shugyo wa isssho de aru
Lo spirito del Karate deve ispirare tutte le nostre azioni.
凡ゆるものを空手化せよ其処に妙味あり
Ara yuru mono o karateka seyo; sokoni myomi ari
Il Karate va tenuto vivo col fuoco dell’anima; è come l’acqua calda, necessita di calore costante o tornerà acqua fredda.
空手は湯の如し絶えず熱度を与えざれば元の水に還る
Karate Wa Yu No Gotoku Taezu Netsu O Atae Zareba Motono Mizuni Kaeru
Il Karate non è vincere, ma è l’idea di non perdere.
勝つ考は持つな負けぬ考は必要
Katsu kangae wa motsuna; makenu kangae wa hitsuyo
La vittoria giace nella tua abilità di saper distinguere i punti vulnerabili da quelli invulnerabili.
敵に因って轉化せよ Tekki
ni yotte tenka seyo
Concentrazione e rilassamento devono trovare posto al momento giusto; muoviti e asseconda il tuo avversario.
戦は虚実の操縦如何に在り
Tattakai wa kyo-jitsu no soju ikan ni ari
Mani e piedi come spade.
人の手足を剣と思へ
Hi to no te-ashi wa ken to omoe
Pensare che tutto il mondo può esserti avversario.
男子門を出づれば百万の敵あり
Danshi mon o izureba hyakuman no teki ari
La guardia ai principianti,la posizione naturale agli esperti.
構は初心者に後は自然体
Kamae wa shoshinsha ni atowa shizentai
Il kata è perfezione dello stile, la sua applicazione è altra cosa.
形は正しく実戦は別物
Kata wa tadashiku, jisen wa betsumono
Come l’arco, il praticante deve usare contrazione, espansione, velocità ed analogamente in armonia, rilassamento, concentrazione, lentezza.
力の強弱体の伸縮技の緩急を忘るな
Chikara no kyojaku tai no shinshuku waza no kankyu
Fai tendere lo spirito al livello più alto.
常に思念工夫せよ
Tsune ni shinen ku fu seyo
Ambiti disciplinari
Il karate tradizionale Shotokan si articola in tre espressioni:
Kihon (fondamentali): è l’insieme delle tecniche fondamentali, di parate o di attacco, su cui si basa il karate.
Il kihon va allenato costantemente, per migliorare la forza e la resistenza fisica e psichica.
Kata (forma): è la forma in cui si riassumono tutte le tecniche dello stile Shotokan. Ci sono numerosi kata, dai più semplici ai più complessi. La loro esecuzione richiede potenza, ritmo, velocità.
Il kata è un combattimento immaginario che si esegue senza avversario, dove il karateka unisce concentrazione, respirazione, esplosività, in una serie di tecniche di braccia e di gambe abbinate tra loro in precedenza.
Kumite (combattimento): il kumite si divide in vari livelli di apprendimento:
kihon Gohon kumite: combattimento fondamentale con Cinque passi
kihon Sanbon kumite: combattimento fondamentale con Tre passi
kihon Ippon kumite: combattimento fondamentale con Un passo
Jiyu ippon kumite: combattimento semi libero con un passo
Jiyu kumite: combattimento libero. Il combattimento libero rappresenta la massima espressione dell’individualità. Il combattimento deve essere affrontato con serenità di spirito e lealtà, rispettando la dignità e l’integrità dell’avversario.